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Montascale per Anziani e Disabili

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          9 Set, 2019 | Società

          La crescente diffusione dell’assistenza di tipo domiciliare ne evidenzia i punti di forza e di debolezza. Conosciamo meglio questo tipo di assistenza e il suo funzionamento.

          Cosa si intende per assistenza domiciliare?

          L’assistenza domiciliare, o cura domiciliare, è un modello di servizio di assistenza alla popolazione erogato sul territorio; prevede un percorso di natura assistenziale e medica erogato a domicilio, riservato alle persone non autosufficienti o con disabilità e patologie che portano alla perdita della funzionalità fisica, psichica o sociale.

          L’assistenza domiciliare ha tra i suoi obiettivi quello di gestire la cronicità della malattia e della disabilità e stabilizzare il quadro clinico, limitando ove possibile l’evoluzione del declino funzionale e puntando al miglioramento della qualità della vita e delle attività quotidiane.

          Responsabile dell’assistenza domiciliare, in linea di massima, è il Servizio sanitario nazionale. L’assistenza domiciliare, infatti, è infatti prevista dai Livelli essenziali di assistenza (LEA), stabiliti per la prima volta dal D. P. C. M. del 29 novembre 2001 e rinnovati da quello del 12 gennaio 2017; nello specifico, rientra nel secondo livello, quello dell’assistenza distrettuale.

          L’assistenza domiciliare viene erogata sulla base di un PAI, piano assistenziale integrato, ossia un progetto personale individuale stabilito a seguito di una valutazione multiprofessionale e multidimensionale. La presa a carico dell’anziano o del disabile avviene tenendo conto delle sue esigenze sanitarie, ma anche di quelle strettamente sociali.

          In genere, il programma dei sistemi di cura domiciliare consiste in trattamenti di natura medica, infermieristica e riabilitativa. La gestione del programma varia in base alla ASL di riferimento, ed è coordinata dal distretto sociosanitario locale e dai comuni.

          Questi ultimi, in particolare, si occupano di erogare assistenza per i servizi quotidiani, gratuitamente o con dei costi determinati in funzione del reddito. Per contro, le cure domiciliari in senso stretto sono sempre a carico del SSN poiché parte dei LEA.

          Tipi e livelli di assistenza domiciliare

          Scendendo più nel dettaglio, i tipi di assistenza domiciliare attuali sono:

          • l’assistenza domiciliare programmata (ADP), che consiste in una serie di prestazioni sanitarie rese necessarie da un episodio patologico in atto. Si tratta dunque di un’assistenza limitata nel tempo, dipendente dal giudizio del medico di base, e di cui possono beneficiare le persone non deambulanti o non trasportabili;
          • l’ospedalizzazione domiciliare, rivolta ai soggetti affetti da patologie croniche gravi in fase di acutizzazione, che richiedono un’assistenza medica costante e un’attrezzatura specifica, nonché l’attenzione continua di un’équipe di specialisti;
          • l’assistenza domiciliare integrata (ADI), la più comune, simile all’ADP nelle modalità di erogazione ma differente nei tempi, in quanto continuativa. Nell’ADI sono inclusi interventi a carattere sanitario ma anche socio-assistenziale, relativi cioè alla cura della persona.

          L’ADI, inoltre, si distingue su tre livelli in base al bisogno proprio del paziente e alla complessità dell’assistenza da fornire:

          • le ADI di I e II livello consistono in prestazioni mediche, infermieristiche e riabilitative, assistenza farmaceutica e accertamenti a favore di persone che richiedono continuità assistenziale fino a 5 o 6 giorni (in base al livello);
          • l’ADI di III livello propone gli interventi di cui sopra anche sui 7 giorni, per pazienti con problematiche molto complesse e instabili.

          La responsabilità dell’ADI è sempre del medico di medicina generale (o del pediatra di riferimento in caso di minore).

          Come richiedere l’assistenza domiciliare

          Per richiedere l’assistenza domiciliare occorre rivolgersi all’ASL di appartenenza per presentare il proprio caso, spiegando la condizione della persona e il motivo per cui si richiede l’assistenza. A fare la segnalazione può essere il famigliare o la persona che assiste il paziente interessato (o quest’ultimo, se gli è possiblie), ma anche il medico di base, i servizi sociali o l’ospedale in cui il soggetto è stato ricoverato.

          A seguito della richiesta viene avviato l’iter burocratico di accettazione. L’ufficio competente deve anzitutto analizzare i bisogni della persona, e quindi stabilire in maniera più precisa le sue condizioni attraverso una valutazione multidimensionale, che comprende l’analisi delle cartelle cliniche e dei referti medici, nonché naturalmente una visita a domicilio o in ospedale.

          L’erogazione del servizio avviene in subordine all’approvazione (e sotto il controllo) dell’équipe multidisciplinare del distretto sanitario di residenza. Questa comprende operatori in possesso della formazione adatta e delle competenze specifiche per il ruolo, quali un infermiere, un fisioterapista, un assistente sociale, un operatore socio-assistenziale e i medici specialisti specifici per il paziente.

          Si noti che tutte le operazioni menzionate, per qualche normativa regionale (ma non per tutte), sono di competenza di organismi unici appositi come i vari “sportelli fragilità”, aperti dalle ASL anche in collaborazione coi comuni.

          Qualora, comunque, l’ASL constati la necessità di fornire al paziente una forma di assistenza domiciliare, il processo organizzativo approda alla fase di presa in carico e definizione del piano terapeutico, il PAI. In tale piano verranno segnalati i trattamenti da effettuare e le tipologie di intervento medico e di riabilitazione; sarà inoltre individuata la figura del “case manager”, il responsabile principale del caso, con compiti di coordinamento e di verifica.

          L’assistenza domiciliare continuerà fino a quando:

          • verrà raggiunto l’obiettivo fissato nel PAI (p. es. quando il paziente recupera l’uso di alcune funzioni);
          • le condizioni del paziente peggioreranno tanto da richiedere un ricovero ospedaliero, una programmazione più intensiva degli interventi o strumenti e risorse eccessivi in relazione alle possibilità e all’efficienza dell’organizzazione che eroga l’ADI;
          • il paziente verrà inserito in un programma assistenziale diverso, quale il ricovero in una struttura;
          • sopraggiungerà il decesso del paziente.

          Chi ha il diritto ad assistenza domiciliare per anzianità?

          Vi sono diverse patologie e condizioni che consentono di presentare la domanda di accesso all’assistenza domiciliare per anzianità, tra le quali ricordiamo:

          • le malattie terminali;
          • le malattie progressivamente invalidanti, o che necessitano di interventi complessi e costanti per la prevenzione dei peggioramenti;
          • gli incidenti vascolari acuti o simili malattie temporaneamente invalidanti (p. es. a carico del sistema respiratorio);
          • le fratture gravi;
          • le forme psicotiche di grado acuto;
          • gli interventi di riabilitazione per alcuni tipi di pazienti, come i vasculopatici o i neurolesi;
          • le dimissioni protette di un paziente dalle strutture ospedaliere.

          Anche in assenza di queste condizioni, generalmente valide ovunque, l’assistenza domiciliare gratuita per gli anziani può essere ottenuta in base ai requisiti particolari stabiliti dal comune o dalla regione di residenza. Di norma, basta:

          • avere un’età minima;
          • essere residenti nella regione o nel comune in cui si fa richiesta di assistenza domiciliare;
          • non ricevere già assistenza da altre strutture professionali;
          • avere uno stato grave di salute accertato e certificato, o una criticità o incapacità funzionale, parimenti certificata, che impedisca di svolgere i compiti quotidiani.

          Questi aspetti principali dovrebbero essere più che sufficienti a garantire il supporto di un’assistenza professionale a domicilio. È necessario, comunque, informarsi preventivamente presso la regione o il comune di appartenenza in merito ai requisiti in questione e a tutti gli eventuali progetti e percorsi di assistenza aperti.

          Come sono cambiati i modelli di assistenza nel tempo

          L’assistenza domiciliare si sta diffondendo sempre più in questi anni. Dei servizi di assistenza residenziale (le case di riposo) fruiscono ad oggi il 3% degli anziani, più o meno la medesima percentuale degli anni ’90. Per contro, i servizi domiciliari sono più che raddoppiati: trent’anni fa erano garantiti al 2% degli anziani, oggi quasi al 5%. Ma come si è giunti a questo esito?

          Negli anni ’80, la misura assistenziale più diffusa a parte quella residenziale consisteva nell’indennità di accompagnamento, che raggiungeva addirittura il 5% degli anziani. Ciononostante, anche in mancanza di una disciplina nazionale specifica, diverse regioni incominciarono a proporre delle prime forme di assistenza domiciliare gratuita, come integrazione o sostituzione delle indennità.

          L’ADI per com’è conosciuta oggi è stata definita per la prima volta nei primi anni ’90, nel contesto del progetto “Tutela della salute degli anziani 1991-1995”, su iniziativa del governo italiano. L’obiettivo, che seguiva i principi della legge 833/78 (relativa all’istituzione del SSN), era quello di aumentare poco a poco il numero dei pazienti assistiti a domicilio, facendo in modo di rispondere alle esigenze di cura ma anche a quelle sociali e personali.

          Nello stesso periodo vengono approvate diverse riforme sanitarie nazionali (come la legge 502/1992, la 517/1993 o la 328/2000), che toccano da vicino anche l’assistenza continuativa, contribuendo a suscitare l’attenzione intorno a essa. Nel contesto del già citato progetto a tutela degli anziani, vengono formulate delle indicazioni sulla necessità di introdurre una unità di valutazione geriatrica apposita per le richieste di assistenza domiciliare e un piano individuale per ogni richiedente.

          Sul finire degli anni ’90 si dibatte sulla realizzazione di una legge nazionale sull’ADI, e le discussioni culminano nello sviluppo del già citato D. P. C. M. del 2001 (oggi sostituito integralmente da quello del 2017 sullo stesso tema). Il decreto istituisce i tre livelli essenziali di assistenza, o LEA. L’ADI, rivolta ora non più soltanto agli anziani ma anche ai disabili e in generale ai pazienti non autosufficienti, rientra nel livello dell’assistenza distrettuale.

          In seguito, nonostante l’assenza di riforme importanti a livello nazionale (fino a quella del 2017), sull’ADI si sono mosse le regioni, che in vario modo hanno potenziato e sviluppato l’assistenza domiciliare, creando appositi fondi, progetti a lungo termine e campagne informative.

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