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          23 Ago, 2019 | Società

          Ecco chi sono e che ruolo hanno i caregiver familiari, figure sempre più importanti nell’assistenza agli anziani e ai disabili, e ancora prive di un vero sostegno da parte delle leggi italiane.

          La figura del caregiver familiare: chi è, cosa fa e come è tutelato

          Chi è il caregiver familiare e qual è il suo ruolo

          Il caregiver familiare è colui che si prende cura di un parente con disabilità permanente, affetto da una malattia cronica, non autosufficiente o che necessita di assistenza a lungo termine.

          Tra coloro che beneficiano del caregiver possiamo annoverare anziani, invalidi e chi è colpito da un disturbo psichico o da una patologia degenerativa.

          La particolarità del caregiver è che non si tratta di una figura professionale esterna pagata per essere responsabile di un servizio, ma di un parente che, per scelta, decide di assistere un suo caro a titolo gratuito.

          Il ruolo del caregiver sta assumendo sempre più importanza al momento, nel contesto dell’invecchiamento generale favorito dai progressi in campo medico e sanitario. In Italia, la figura del caregiver non è riconosciuta né tutelata dalla legge, pur essendo da sempre un importante pilastro del sistema di welfare della nostra società.

          Che cosa fa un caregiver?

          I compiti del caregiver sono moltissimi, in base alle condizioni, alle capacità e alle esigenze della persona assistita. Nello specifico, il caregiver può occuparsi di:

          • assistenza diretta, ovvero somministrazione di farmaci, preparazione del cibo, lavaggio, pulizia e così via;
          • sorveglianza passiva, come ad esempio il controllo di una persona malata di Alzheimer che potrebbe mettersi in pericolo, o di un paziente costretto a letto e bisognoso di cure;
          • altre esigenze connesse, come sbrigare le pratiche burocratiche e amministrative per conto dell’assistito, contattare gli enti che si occupano di assistenza o gli ospedali, spostare il proprio caro in caso di necessità o acquistare protesi, ausili e farmaci.

          Si tratta, evidentemente, di una serie di compiti molto pesante. Tra assistenza e sorveglianza, il caregiver può essere occupato diverse volte a settimana, in una modalità discontinua, ma molto spesso spende la maggior parte del suo tempo a servizio dell’altro.

          Inoltre, il più delle volte una persona può ritrovarsi a dover svolgere l’attività di caregiver all’improvviso, a seguito di una malattia inattesa o di un incidente di un parente, e dunque potrebbe essere impreparato ad assumersi tante responsabilità, mancando delle competenze necessarie.

          Tutto ciò rischia di avere ricadute sulla qualità della sua stessa salute, se non riceve un aiuto esterno. La condizione di stress cui il caregiver è sottoposto lo rende a sua volta bisognoso di una forma di aiuto e di assistenza, che talvolta purtroppo non riesce a trovare nelle istituzioni e lo costringe a ripiegare sulle associazioni o sulla famiglia.

          Quanti sono i caregiver in Italia

          Ad oggi, non vi sono dati sicuri e ufficiali sul numero di caregiver italiani. Oltre a essere un lavoro di tipo volontario e non retribuito, non è nemmeno un ruolo inquadrato dalle leggi nazionali.

          In base ai più recenti dati ISTAT, il numero dei caregiver italiani ammonterebbe nientemeno che a 8,5 milioni, di cui soltanto 1,2 milioni esterni alla famiglia, e ben 2,1 milioni impegnati per dei tempi superiore alle 20 ore settimanali.

          Tra questi, la stragrande maggioranza è costituita da donne (quasi i tre quarti dei soggetti). Inoltre, circa il 30% ha un’età inferiore ai 45 anni, e il 40% tra i 46 e i 60; ciò pone evidenti difficoltà in tema di conciliazione dell’attività lavorativa con quella di caregiver, che di frequente impegna quasi a tempo pieno. Il restante 30% circa dei caregiver è a sua volta anziano, il che a sua volta costituisce una condizione problematica.

          Altri dati interessanti si possono evincere da studi più specifici, come quello della Fondazione Maugeri o l’indagine della Onlus Associazione per la sclerosi tuberosa.

          Queste ricerche evidenziano che la maggior parte dei caregiver è costituita dalle madri degli assistiti. Inoltre, i dati mettono in luce come quasi il 60% dei caregiver sia disoccupato. Più della metà, inoltre, ha un livello di scolarizzazione basso o medio-basso (diploma di scuola media o elementare).

          Tutto ciò non fa che ribadire la difficoltà cui i caregiver vanno incontro quotidianamente. Le esigenze lavorative difficilmente risultano conciliabili con quelle dell’assistenza, e in molti preferiscono perdere il lavoro. Inoltre, anche la bassa istruzione può rappresentare un problema in questo contesto, per esempio nel caso di rapporti complessi con la burocrazia, con gli ospedali o con il paziente stesso.

          Quali leggi riconoscono la qualifica professionale del caregiver familiare?

          Proposte per una normativa nazionale

          In Italia, purtroppo, nessuna legge stabilisce integralmente i diritti dei caregiver al di fuori di situazioni particolari o collaterali alla loro funzione, né la loro figura è inquadrata in maniera univoca dalle normative in vigore. Nonostante i progetti per regolare il settore, iniziati fin dalla precedente legislatura, sono pochi i risultati ottenuti fino ad ora.

          Sotto questo aspetto, l’Italia è rimasta molto indietro rispetto ad altri Paesi dell’Unione Europea. Per esempio, Francia, Spagna e Gran Bretagna, ma anche Polonia, Romania e Grecia, hanno sviluppato delle norme a tutela dei caregiver, che prevedono l’accesso a diversi benefici di carattere economico, contributi previdenziali e varie iniziative secondarie, come la vacanza assistenziale gratuita.

          Da tre anni a questa parte, nel Parlamento italiano sono stati presentati e discussi addirittura cinque progetti di legge, presentati da tutte le principali forze politiche, per riconoscere i caregiver. Alla fine del 2018, i disegni di legge sono stati accorpati in un’unica proposta, ancora sotto esame da parte della commissione “Lavoro pubblico e privato e previdenza sociale” del Senato, con relatrice la senatrice Barbara Guidolin.

          Inoltre, un convegno organizzato nella biblioteca del Senato nel dicembre dello stesso anno, intitolato “Diritti e tutele dei caregiver familiari” e organizzato dalla F. I. R. S. T. (Federazione italiana rete sostegno e tutela), ha cercato di fare il punto della situazione. Tuttavia, da allora, la situazione non si è ancora sbloccata.

          La figura del caregiver nelle attuali leggi sull’assistenza

          Allo stato attuale, dunque, la legge italiana fa riferimento al ruolo del caregiver soltanto in maniera indiretta. In particolare, oltre ad alcune disposizioni regionali, bisogna fare riferimento a tre leggi:

          • la nota legge 104/92, “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone diversamente abili”, prevede dei permessi singoli per i dipendenti di un’azienda, nel caso in cui assistano dei figli disabili in condizioni gravi. In alcune circostanze il diritto si estende anche se il caregiver assiste altri parenti nella medesima situazione, come il coniuge, il partner nell’unione civile, il convivente di fatto e in generale un parente entro il secondo grado;
          • diversi articoli del decreto 151 emanato dal governo nel 2001 (o legge 151), “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”, prevedono delle forme di congedo lavorativo straordinario per assistere un familiare portatore di handicap grave, certificato in base ai requisiti posti dalla legge 104. Il congedo straordinario può essere richiesto da “uno dei figli conviventi della persona disabile in situazione di gravità, nel caso in cui il coniuge convivente, la parte dell’unione civile convivente ed entrambi i genitori del disabile siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti”;
          • infine, la legge di bilancio 2018 (205/2017) ha esplicitamente definito il caregiver familiare all’articolo 1, comma 255, come “la persona che assiste e si prende cura […] di un familiare o di un affine entro il secondo grado […] che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido […] o sia titolare di indennità di accompagnamento”. Al comma precedente ha stanziato un fondo di 60 milioni di euro da ripartirsi nei tre anni successivi, a disposizione dei caregiver; tuttavia, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non ha poi emanato i decreti attuativi necessari per attingervi, e di conseguenza il denaro previsto rimane bloccato.

          L’esempio dell’Emilia-Romagna

          Fortunatamente, se l’iniziativa pubblica centrale latita, non si può dire lo stesso di alcune regioni virtuose. Su tutte, ricordiamo l’Emilia-Romagna, che già nel 2014 ha varato una legge a riguardo, dal titolo “Norme per il riconoscimento e il sostegno del caregiver familiare”, che sta tuttora facendo da apripista per iniziative simili in altre regioni, come Abruzzo, Campania, Lazio, Marche, Piemonte e Sardegna.

          In base a essa, la regione “riconosce e valorizza la figura del caregiver familiare in quanto componente informale della rete di assistenza alla persona e risorsa del sistema integrato dei servizi sociali, socio-sanitari e sanitari” (art. 1). Lo scopo della norma è quello di sostenere in modo uniforme la vita e l’attività dei caregiver, anche facilitando il rapporto con i servizi sul territorio, le associazioni ONLUS e il volontariato.

          Inoltre, l’Emilia-Romagna ha attinto risorse dal fondo regionale per la non autosufficienza per sostenere diversi interventi a favore dei caregiver. Tra questi, si possono ricordare l’assegno di cura, ovvero un contributo mensile a favore dei caregiver e delle loro famiglie. Dati del 2016 riportano che ne hanno beneficiato ben 9000 anziani, oltre 2000 disabili gravi e circa 4000 famiglie.

          A ciò si aggiungono altre opportunità per i caregiver, quale quella di fruire di servizi di assistenza per alcune ore al giorno o per periodi continuativi. Possono essere servizi erogati in casa, ma anche forme di accoglienza di breve durata in strutture residenziali o nei “meeting center”, ovvero nei centri di accoglienza diurna riservati ad alcune categorie di anziani.

          Oppure, i caregiver possono approfittare di attività formative e di qualificazione relative al compito di cura, o di consulenza per l’adattamento dell’ambiente domestico alle esigenze dell’assistito, ma anche a un percorso di supporto psicologico.

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