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Montascale per Anziani e Disabili

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          8 Ott, 2019 | Società

          Gli sport per disabili, soprattutto in carrozzina, stanno diventando sempre più popolari. Ecco come sono nati, chi li coordina e quali benefici portano.

          sport in carrozzina

          Quali sono gli sport adattati per disabili in carrozzina?

          Oggi, per un disabile in carrozzina è possibile vivere una vita normale. Può adattare gli spazi alle proprie esigenze, ottenere un aiuto dal settore pubblico quando necessario, essere supportato in tutti i bisogni della sua vita quotidiana. Anche se ha bisogno di un po’ di svago, ha molteplici opportunità, e la possibilità di scegliere tra molti sport adattati per la sedia a rotelle.

           

          Ma come scegliere lo sport più adatto? Ciascuno di essi ha diverse caratteristiche, e solo conoscendoli si può prendere la decisione giusta per le proprie esigenze. Vediamo qualche esempio.

          Basket

          È un adattamento nato come metodo eccezionale di riabilitazione, e fu tra i primi sport per disabili ad essere praticato su larga scala, già negli anni ’60.

          Le regole sono sostanzialmente le stesse del basket per normodotati, con poche eccezioni: la principale è che a ogni giocatore viene assegnato un punteggio per valutare le sue capacità fisiche, e ogni squadra non deve superare un certo numero totale.

          Questa forma di pallacanestro è uno degli sport più vantaggiosi per i portatori di handicap, poiché rappresenta un’attività fisica completa che permette di esprimere al meglio tutte le proprie capacità fisiche.

          Tennis

          Nato solo alla fine degli anni ’70, il “wheelchair tennis” è diventato presto uno degli sport per disabili più diffuso, specie in Italia.

          È molto simile, nel regolamento e nelle tecniche, al tennis tradizionale, con poche differenze in base alle specifiche abilità dei giocatori. In particolare, può essere “open”, cioè classico, oppure, per i tennisti con limitazioni anche agli arti superiori, “quad”.

          Scherma

          Essendo uno sport che si può concentrare soprattutto sul gioco di braccia, la scherma è stata adattata facilmente e con successo alla sedia a rotelle. È uno sport statico, che però richiede un grande affinamento delle proprie doti di velocità e precisione.

          L’Italia, inoltre, è stata al centro del settore della scherma paralimpica, negli ultimi anni: basti pensare al celebre caso di Beatrice Vio.

          Hockey

          Pur essendo una disciplina adattata solo di recente (anni ’80-’90), l’hockey per disabili è oggi abbastanza diffuso, soprattutto tra i giovani e i ragazzi.

          Grazie alla sua versatilità, l’hockey per disabili può essere giocato, su carrozzine elettriche, anche da coloro che non abbiano il pieno uso degli arti superiori, grazie a un comando specifico della sedia a rotelle.

           

          Quali sono le origini dello sport per disabili?

          La storia degli sport per disabili comincia già negli anni ’20, quanto a Parigi furono organizzati i “Giochi silenziosi” da parte del Comitato Internazionale degli Sport dei Sordi, più tardi trasformatisi negli attuali “Giochi olimpici silenziosi”.

          Negli anni successivi fu dedicata una certa attenzione anche alle altre categorie di atleti disabili, tra cui i disabili fisici (inclusi anche i non vedenti) e i disabili psichici.

          Il pioniere: Ludwig Guttmann

          In particolare, va ricordata la grande iniziativa del medico inglese Ludwig Guttmann, un vero e proprio visionario del suo campo. Nel 1948, Guttmann scelse di spingere i pazienti disabili che aveva in terapia a praticare degli sport, come strumenti per potenziare le loro capacità residue in un’ottica di cura, ma anche per tener viva la loro autostima.

          Quattro anni dopo, Guttmann organizzò nella cittadina di Stoke Mandeville un primo campionato di giochi per disabili, che conobbe tanto successo da coinvolgere moltissimi partecipanti stranieri e da catturare l’attenzione della stampa mondiale. Anche il Comitato Olimpico salutò con favore i suoi sforzi, insignendolo di un apposito riconoscimento e intraprendendo una collaborazione con lui.

          I Giochi Paralimpici

          Nel 1960, a Roma, con l’appoggio di Antonio Maglio, direttore di una sezione dell’INAIL destinata ai disabili fisici, si disputarono i primi Giochi Paralimpici. Furono del tutto simili a quelli odierni, ma erano chiamati allora “Giochi Internazionali per Paraplegici”, e si svolsero subito dopo la XVII Olimpiade.

          All’organizzazione compartecipò anche il CONI (Comitato Olimpico Nazionale italiano), con il patrocinio del ministero della sanità italiano e non senza un certo interesse da parte del pubblico e della stampa. I partecipanti furono ricevuti in udienza dal Papa, e le più alte cariche istituzionali presenziarono all’evento accogliendolo con favore.

          Le competizioni furono ben 57, suddivise in 8 sport diversi; erano presenti circa 400 atleti provenienti da 23 Paesi del mondo: un successo insperato, che segnò l’inizio di una nuova stagione per gli sport per i disabili. A Tokyo, in occasione dell’Olimpiade successiva (nel 1964) i giochi si ripeterono, incassando sempre più favore.

          Alla categoria dei disabili psichici, più tardi, furono riservate delle manifestazioni sportive apposite, tra cui le prime “Special Olympics” di Chicago del 1968.

           

          Come vengono coordinate le attività sportive per disabili oggi?

          Oggi, le attività sportive per i disabili sono molto diffuse, e numerose federazioni o associazioni organizzano e patrocinano gare e corsi appositi, anche in collaborazione con la scuola, con lo scopo di favorire i diritti alla salute e all’integrazione per tutti.

          Nello specifico, il Comitato Italiano Paralimpico (CIP) è l’ente pubblico che, nel nostro Paese, riunisce e coordina tutte le altre federazioni sportive, i progetti associati e le discipline sportive. È riconosciuto dall’IPC (Comitato Paralimpico Internazionale) e, naturalmente, dal CONI, dalla cui sede dipendeva fino al 2017. Il suo scopo è quello di rendere accessibile lo sport per i disabili, organizzandolo a livello centrale e locale.

          Già in precedenza, comunque, lo sport per disabili in Italia era promosso e favorito da diverse associazioni, come l’ANSPI (Associazione Nazionale per lo sport dei paraplegici). Nata nel 1974 e rinominata nel 1990 Federazione Italiana Sport Disabili (FISD) a seguito dell’accorpamento con le due Federazioni per i Ciechi e i Sordi Sportivi, assunse infine la denominazione di CIP con due leggi del 2005.

          Il CIP, attualmente, riconosce 21 Federazioni Sportive Paralimpiche autonome, 13 discipline, 12 enti e società di promozione sportiva e 5 associazioni benemerite.

          Tra le varie federazioni in questione possiamo ricordare:

          • la FISDIR (Federazione Italiana Sport Paralimpici degli Intellettivo Relazionali), che gestisce e organizza un sistema sportivo per gli atleti con disabilità psichica e relazionale;
          • la FISIP (Federazione Italiana Sport Invernali Paralimpici);
          • la FISPIC (Federazione Italiana Sport Paralimpici per Ipovedenti e Ciechi);
          • la FISPES (Federazione italiana Sport Paralimpici e Sperimentali), che si occupa di attività come il tiro a segno, le bocce, il rugby, il calcio, l’equitazione, il nuoto e l’atletica leggera, nelle loro versioni adattate per disabili fisici.

           

          Quali sono i benefici dello sport per disabili?

          Benefici fisici

          È stato riconosciuto, fin dai tempi di Guttmann, che gli sport per disabili offrono molteplici benefici, tra i quali il miglioramento delle capacità fisiche della persona.

          Innanzitutto, praticare un’attività fisica regolare migliora la resistenza, la velocità e la forza, oltre a diminuire la frequenza cardiaca, ottimizzare il ritmo del respiro e depurare l’organismo dalle tossine. In più, fare un po’ di movimento stimola la produzione di endorfine, che migliorano l’umore, la qualità del sonno e il benessere generale del corpo.

          Per i disabili, uno sport (anche non agonistico) può aiutare a sviluppare un maggiore equilibrio, il che risulta utile nella deambulazione, e ad aumentare il tono muscolare, rendendo più semplici molte azioni quotidiane tra cui l’utilizzo di ausili.

          Perciò, un atleta disabile potrà muoversi più facilmente nello spazio, incrementare sensibilmente la qualità della propria salute e della propria vita e, ove possibile, raggiungere un livello di autonomia motoria più elevata.

          Benefici psicologici

          A livello psicologico, praticare con successo uno sport garantisce vantaggi notevoli anche per i soggetti con disabilità, specie se in giovane età.

          Innanzitutto, lo sport aiuta a conoscere se stessi, sperimentando i propri limiti e conoscendo le proprie capacità. In questo modo, l’atleta con un handicap può acquisire una maggiore sicurezza in se stesso, e la fiducia nelle proprie abilità.

          La fatica stessa che lo sport implica costituisce una sfida notevole per l’atleta disabile, che lo costringe a uscire dai propri schemi e a mettersi davvero in gioco. Potrà così imparare a reagire alle difficoltà e ai problemi senza arrendersi, e a scoprire invece nello sforzo un modo eccellente per scaricare i centri di tensione che la sua stessa condizione comporta.

          Per non parlare poi dell’aspetto dell’autonomia e dell’indipendenza. Dedicarsi allo sport è un modo eccellente per mantenere attiva tutta la propria persona in un’esperienza da affrontare in solitaria, senza l’aiuto dei genitori, dei tutori o delle persone da cui un disabile in genere dipende durante le sue giornate.

           

          Benefici relazionali

          Lo sport, infine, aiuta il disabile a inserirsi in un contesto sociale di gruppo libero, aperto e inclusivo, soprattutto se si tratta di uno sport di squadra.

          Mettendosi in contatto con l’allenatore, i compagni e i nuovi amici, la persona disabile può sperimentare nuove forme di relazione e di rapporto che, altrimenti, non avrebbe potuto vivere, e si inserisce in un progetto comune con gli altri.

          Fare uno sport comporta l’accettazione delle regole e di una guida esterna, il rispetto delle capacità e delle potenzialità di tutti, la convivenza leale e paritaria con gli altri, un importante superamento delle barriere relazionali.

          Nello sport si gioisce dei successi insieme e si condividono le responsabilità della sconfitta: in questo modo, l’atleta disabile può inserirsi in un momento di interdipendenza positiva e imprescindibile per la sua crescita personale e le sue capacità sociali.

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