- Moda e disabilità: una maggior sensibilizzazione?
- Oltre le barriere: la moda che veste tutti
- Come è cambiata la concezione della disabilità nel mondo della moda?
- Moda per disabili in Italia
Moda e disabilità: una maggior sensibilizzazione?
La sensibilizzazione dell’opinione pubblica nei confronti della disabilità è un tema complesso. Passa infatti attraverso tutti i settori della vita quotidiana, e richiede un’attenzione speciale. In tempi recenti, in particolare, è emerso un nuovo tema: il rapporto tra moda e disabilità.
La persona disabile, molto spesso, viene considerata solo come portatrice di bisogni e diritti sanciti dalle leggi, un individuo con esigenze particolari che vanno soddisfatte, dall’abbattimento delle barriere architettoniche in giù.
Purtroppo, non si pensa che il disabile è una persona come le altre, che ha i suoi desideri, gusti e aspirazioni. Perché, per esempio, un disabile non può esser libero di vestirsi come gli altri, con indumenti alla moda e belli da vedere?
Si pensa sempre alla comodità e alla praticità, quando si parla di abbigliamento per disabili, e si trascura così un importante aspetto della sensibilizzazione verso i temi della diversità e dell’inclusione. In risposta a questo problema, nel mondo anglosassone si è sviluppato poco a poco il concetto di “adaptive fashion”.
Adaptive fashion: cos’è e perché è importante
Questa nuova categoria del mondo della moda e dell’abbigliamento si rivolge alle persone con una disabilità motoria, come chi è in sedia a rotelle o indossa delle protesi, ma anche a chi soffre di una disabilità psichica che gli renda complicata l’operazione di vestirsi.
Al contempo, dunque, il concetto di adaptive fashion richiede che gli abiti siano pratici e comodi da indossare, disegnati in base alle specifiche esigenze dei disabili, senza però dimenticare il desiderio di vestire in maniera adeguata, in modo da esprimere sé stessi e il proprio stile personale anche con l’abbigliamento.
Questo approccio si sta imponendo, un passo alla volta, nella mentalità e nel linguaggio delle grandi case di moda. Sperabilmente, entro qualche anno entrerà a far parte anche della vita comune delle persone, attraverso i reparti dei grandi magazzini e le catene della grande distribuzione.
Perché proprio a questo serve l’adaptive fashion. Grazie all’insistenza sull’importanza della moda per disabili da parte della pubblicità, delle riviste e delle grandi sfilate, la speranza è che questo concetto possa sensibilizzare il pubblico al punto da rendere comune e accessibile un abbigliamento per disabili comodo, sì, ma anche bello.
Oltre le barriere: la moda che veste tutti
L’apripista: Tommy Hilfiger
Il primo grande della moda che ha prestato orecchio alle richieste di molti disabili è stato Tommy Hilfiger, che ben conosce il problema avendo un figlio con disturbi dello spettro autistico.
Nel 2016, lo stilista ha avviato una collaborazione con la collega Mindy Scheier, madre di un bambino con distrofia muscolare e creatrice di un’organizzazione no profit dedicata alla promozione dell’adaptive design attraverso, appunto, la sensibilizzazione delle grandi case di moda.
La linea Tommy Adaptive, nata da questa partnership, mira proprio a confrontarsi con la libertà e i desideri di adulti e bambini che soffrono di una data disabilità. I capi della serie sono stati pensati per essere semplici e pratici da indossare, ma senza farsi mancare nulla dal lato dell’eleganza e dello stile.
Questa iniziativa ha fatto da apripista in direzione di una moda oltre le barriere, dedicata a tutti e destinata a superare le discriminazioni e ogni forma di esclusione. Più di un marchio internazionale ha seguito l’esempio di Tommy Hilfiger, e altri brand meno noti che nel loro piccolo già operavano nel settore hanno conosciuto un’improvvisa popolarità.
L’adaptive fashion e il grande pubblico: Target e Marks & Spencer
Nel 2018, innanzitutto, la catena americana Target ha proposto nei suoi negozi una linea di abbigliamento adaptive composta da vestiti adatti per tutti i giorni; lo stesso ha fatto la casa inglese Marks & Spencer.
Finalmente, l’abbigliamento per disabili è entrato in questo modo in una fascia di prezzi più competitiva, adatta a tutte le tasche e a tutte le possibilità. Grazie a iniziative simili, i disabili e i loro familiari non sono più costretti a rinunce umilianti e a discriminazioni nell’ambito della scelta del vestiario.
Ma la moda che vuole abbattere le barriere non ha ancora finito di sorprendere. Anche il mondo dei giovani disabili, complici alcuni testimonial d’impatto, ha potuto trovare finalmente le proprie linee di abbigliamento.
Asos, Aerie e la diffusione dell’adaptive fashion
Il celebre sito di e-commerce Asos ha infatti collaborato con Chloe Ball-Hopkins, ventunenne campionessa dello sport affetta da distrofia, per creare una tuta impermeabile per disabili. Grazie ad alcune campagne di marketing che hanno finito per diventare virali, la tuta adatta alla carrozzina si è dimostrata un successo commerciale, e la Ball-Hopkins ha acquisito la fama di modella e di esempio da seguire.
Una mossa simile è stata quella del brand Aerie-American Eagle. Da sempre convinti sostenitori di una concezione del corpo positiva e libera da pregiudizi, gli stilisti del marchio hanno sviluppato pubblicità con delle giovani disabili. Il loro intento, quello di proporre un modello per tanti ragazzi e ragazze come loro, è riuscito in pieno.
L’apertura all’adaptive fashion, del resto, ha messo in evidenza anche un mercato molto promettente. I numeri delle persone con disabilità sono, si sa, molto elevati; inoltre, si tratta di una nicchia disposta a investire volentieri in capi di abbigliamento il più possibile “normali”, che possano ricordare a tutti che anche un disabile è una persona come tutte.
Come è cambiata la concezione della disabilità nel mondo della moda?
Tutte le iniziative che abbiamo menzionato, naturalmente, sono un enorme segno di novità. Una novità positiva, innanzitutto, per le situazioni comuni di milioni di persone disabili in tutto il mondo, che possono ora scegliere più facilmente i vestiti che preferiscono e che si adattano maggiormente ai loro desideri.
Ma si è trattato anche di un momento di svolta nel mondo stesso della moda, nella sua cultura e nella sua storia. È ben noto a tutti che, fino a qualche anno fa, sulle copertine e sulle passerelle dominava una sola immagine di modella: lo stereotipo della ragazza bianca, alta, sempre giovane, magra e bella, perfettamente in forma. Ed è proprio questo stereotipo che l’adaptive fashion ha contribuito a cambiare.
La campagna di Teen Vogue
Ricordiamo in particolare il caso della celebre rivista Teen Vogue, che mira ad avvicinare le adolescenti al mondo della moda. Nel suo numero di settembre 2018 Teen Vogue ha dedicato un lungo servizio al nuovo rapporto tra bellezza, abbigliamento e disabilità che si è realizzato in questi anni.
La giornalista Keah Brown, che soffre di una paralisi cerebrale parziale, ha intervistato le tre modelle disabili Chelsea Werner, Jillian Mercado e Mama Cax. Ha raccontato con le sue parole la loro esperienza nel mondo della moda, con l’obiettivo di mostrarne lo stile, il coraggio e la forza, così da essere in grado di dare un modello alle giovani lettrici.
A questa iniziativa, negli ultimi anni, se ne sono affiancate molte altre, sulla stessa strada dell’inclusione.
Numerosi stilisti celebri, quali Alexander McQueen o Carrie Hammer, hanno coinvolto donne in sedia a rotelle o con disabilità fisiche durante le loro sfilate; Willy Chavarria ha voluto portare sulle sue passerelle un modello senza un braccio e Chromat, marchio USA di costumi da bagno, ha scelto la già citata Mama Cax, cui è stata amputata una gamba per una malattia, come testimonial alla New York Fashion Week.
Moda per disabili in Italia
Alta moda e adaptive fashion nel nostro Paese
Tutte queste passerelle internazionali sono state (e continuano ad essere) fondamentali nel far passare un modello di inclusione e abbattimento delle barriere anche nel campo dell’abbigliamento. Ma non bisogna dimenticare il ruolo dell’Italia, la patria della moda.
Sotto questo punto di vista, il nostro Paese non ha nulla da invidiare all’estero. Sia a livello di marchi di alta moda che di società della grande distribuzione (anche a mezzo di e-commerce), gli italiani si sono dimostrati pionieri di un nuovo modo di vedere la disabilità e hanno adottato, tra i primi, i principi dell’adaptive fashion.
Qualche esempio? Alla Fashion Week milanese, edizione 2018, l’agenzia di modelle con disabilità Iulia Barton, insieme alla Fondazione Vertical (un’organizzazione no profit italiana per la cura delle lesioni midollari e la ricerca sulla salute), ha dato spazio a una sfilata per modelli disabili.
Nel frattempo, durante gli eventi di AltaRoma dello stesso anno, stilisti del calibro di Renato Balestra, Antonio Urzi e Angelo Cruciani hanno disegnato abiti appositamente per delle modelle in carrozzina o dotate di protesi.
Moda per disabili per tutti, made in Italy
Ma anche lontano dai riflettori nascono progetti e realtà locali, made in Italy, inclusivi e positivi. Pensiamo a marchi ormai consolidati come Mec Service, che offre vestiti e accessori per persone con disabilità anche temporanea, o Lyddawear, il portale che da anni vende online capi per donna e uomo a chi ha difficoltà psichiche o di movimento.
Non mancano poi, naturalmente, le iniziative di solidarietà sociale, spesso nate con collaborazioni dal basso.
Citiamo soltanto, oltre all’iniziativa già menzionata della Fondazione Vertical, anche il progetto “Diritto all’eleganza”, spinto dalla Unione Italiana per la Lotta alla Distrofia Muscolare (UILDM) in collaborazione con diversi istituti superiori di moda. Il modo migliore per educare i giovani, nella scuola e nell’università, al valore dell’inclusione dei disabili, superando i luoghi comuni anche nel campo dell’abbigliamento.
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